Sono le ore venti del 14 giugno 1837 quando Giacomo Leopardi, stroncato dalla malattia, esala l’ultimo respiro in casa dell’ amico Antonio Ranieri in una Napoli flagellata dal colera. Poco prima, nel pomeriggio, il poeta ha ricevuto la visita di un ammiratore, lo storico tedesco Heinrich Wilhelm Schulz. Da costui apprendiamo che – come riferisce la ricercatrice Carla Glori – le ultime parole scritte in punto di morte da Leopardi furono proprio gli ultimi sei versi de “Il tramonto della luna” il componimento qui rievocato per la voce di Carlo Colognese e che per la restante e massima parte era già stato redatto l’anno prima.
Il tramonto della luna
Quale in notte solinga,
Sovra campagne inargentate ed acque,
Là ‘ve zefiro aleggia,
E mille vaghi aspetti
E ingannevoli obbietti
Fingon l’ombre lontane
Infra l’onde tranquille
E rami e siepi e collinette e ville;
Giunta al confin del cielo,
Dietro Apennino od Alpe, o del Tirreno
Nell’infinito seno
Scende la luna; e si scolora il mondo;
Spariscon l’ombre, ed una
Oscurità la valle e il monte imbruna;
Orba la notte resta,
E cantando, con mesta melodia,
L’estremo albor della fuggente luce,
Che dianzi gli fu duce,
Saluta il carrettier dalla sua via;
Tal si dilegua, e tale
Lascia l’età mortale
La giovinezza. In fuga
Van l’ombre e le sembianze
Dei dilettosi inganni; e vengon meno
Le lontane speranze,
Ove s’appoggia la mortal natura.
Abbandonata, oscura
Resta la vita. In lei porgendo il guardo,
Cerca il confuso viatore invano
Del cammin lungo che avanzar si sente
Meta o ragione; e vede
Che a se l’umana sede,
Esso a lei veramente è fatto estrano.
Troppo felice e lieta
Nostra misera sorte
Parve lassù, se il giovanile stato,
Dove ogni ben di mille pene è frutto,
Durasse tutto della vita il corso.
Troppo mite decreto
Quel che sentenzia ogni animale a morte,
S’anco mezza la via
Lor non si desse in pria
Della terribil morte assai più dura.
D’intelletti immortali
Degno trovato, estremo
Di tutti i mali, ritrovàr gli eterni
La vecchiezza, ove fosse
Incolume il desio, la speme estinta,
Secche le fonti del piacer, le pene
Maggiori sempre, e non più dato il bene.
Voi, collinette e piagge,
Caduto lo splendor che all’occidente
Inargentava della notte il velo,
Orfane ancor gran tempo
Non resterete; che dall’altra parte
Tosto vedrete il cielo
Imbiancar novamente, e sorger l’alba:
Alla qual poscia seguitando il sole,
E folgorando intorno
Con sue fiamme possenti,
Di lucidi torrenti
Inonderà con voi gli eterei campi.
Ma la vita mortal, poi che la bella
Giovinezza sparì, non si colora
D’altra luce giammai, nè d’altra aurora.
Vedova è insino al fine; ed alla notte
Che l’altre etadi oscura,
Segno poser gli Dei la sepoltura.
Grazie caro amico della gradita dedica che riecheggia i nostri anni anche di gioventù, quando ci siamo conosciuti e formati quasi insieme… poi la vita, che fa strani e lunghi giri, prima ci ha allontanato e oggi ci ha fatto come ritrovare (pur a distanza).
Ne sono felice perchè è un dono, come leggere e rileggere il tuo/nostro Leopardi.
Ti aspetto, anche insieme ai tuoi amici dell’audiorivista, nelle mie Marche per andare insieme a Recanati a… trovare il nostro “Giacomino”.
Un abbraccio affettuoso e di stima.