Amleto ventiventiquattro

“Essere o non essere” non è affatto il dubbio dell’eterno insicuro; e nemmeno il riassunto simbolico di tutte le incertezze cui va incontro l’umanità in tutti i disparati eventi del nostro mondo. È invece il centro e il fulcro dell’intero dramma dell’umanità che non sa difendersi dal male che essa porta dentro di sé. La disperata disamina di ogni possibile via di salvezza e riscatto della condizione umana dalle proprie fragilità che invece, alla fine, portano gli esseri umani verso l’unica e ineluttabile via della distruzione.

Quello che meraviglia, e al tempo stesso viene riconosciuto come vero motore della forza drammatica delle opere di Shakespeare, è la capacità di far diventare i grandi interrogativi dell’ uomo un tutt’ uno con la tensione narrativa sprigionata dai fatti della storia rappresentata in tutta la durata dell’opera teatrale.

Ciò che, alla fine di tutto, è più utile e bello sottolineare non è tanto la spinta allegorica a considerare la disperazione di ciò che è scritto come una provocazione a cercare ancora ciò che ci può rendere salvi e felici; di più conta, invece, tentare di misurare le infinite dimensioni della poesia di quello che l’Autore ha composto. Tornare e ritornare ancora a guardare, toccare e sentire le cose che non smetteranno mai di sorprenderci; di stupirci e nutrire il nostro sogno.

Testo di Filippo RoncacciaVoci di Filippo Roncaccia e Isabella Lattanzi

Nell’immagine: gli occhi di William Shakespeare come visti da Martin Droeshout (1623 – particolare) [Wikipedia]

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